Abbiamo più volte parlato della capacità di adattamento delle piante. Forse il caso più eclatante riguarda le piante di Chernobyl.
Cosa accadde all’1:23 (ora locale) del 26 aprile 1986 è tristemente noto: il reattore numero 4 della centrale nucleare, situata a 18 km dalla città di Chernobyl, esplose per una serie di cause riconducibili in parte a difetti strutturali e in parte a gravi mancanze del personale, che in quella tragica notte si macchiò di numerose violazioni dei protocolli di sicurezza.
L’incendio che seguì all’esplosione disperse nell’aria un’enorme quantità di isotopi radioattivi, che, attraverso i venti, si diffusero in quasi tutta Europa e anche in Nordamerica.
Le vittime dirette furono solo 57, ma il numero di persone che negli anni, a seguito dell’esposizione alle radiazioni, svilupparono una malattia mortale è incalcolabile.
Nei giorni successivi alla catastrofe, l’intera città di Chernobyl e una vasta area circostante vennero evacuate, per un raggio complessivo di 30 km dalla centrale nucleare.
L’area evacuata ha assunto il nome di “zona di alienazione” e per decenni è stata interdetta al pubblico. Ancora oggi, l’accesso è strettamente regolamentato e la zona è rimasta totalmente disabitata.
Dove gli uomini non possono più vivere, prosperano le piante
Questo non vuol dire che siano state immuni alle conseguenze della catastrofe nucleare.
Anche le piante, infatti, sono state investite dalle radiazioni con effetti disastrosi. Basta pensare alla cosiddetta Foresta rossa, diventata uno dei simboli della catastrofe: costituita per lo più da pini silvestri e situata nelle immediate vicinanze delle centrale, subito dopo l’esplosione virò il proprio colore dal verde al rosso e poi morì.
Superato il trauma iniziale, le piante di Chernobyl sono però riuscite a trovare il modo di sopravvivere anche in condizioni apparentemente incompatibili con la vita e, in breve tempo, hanno colonizzato l’intera zona di alienazione.
Ci troviamo di fronte a qualcosa di incredibile: una sorta di riserva naturale accidentale, in cui le piante hanno preso possesso di tutto, inclusi gli scheletri delle case abbandonate dall’uomo dove oggi svettano delle vere e proprie foreste.
Com’è possibile?
La risposta risiede nella struttura stessa delle piante: sappiamo che, diversamente dagli animali, le piante presentano infinite repliche dei loro organi principali disseminate su tutta la superficie, dalle radici fino alla punta delle foglie.
Questa caratteristica le rende enormemente più adattabili, poiché riescono a rimpiazzare i tessuti morti con grande velocità e a contrastare le mutazioni genetiche in maniera più efficace.
Un tempo, inoltre, i livelli di radioattività sul nostro pianeta erano molto più alti di adesso. Le piante di Chernobyl potrebbero quindi aver attinto ad antichissimi meccanismi di sopravvivenza: sono infatti in grado di assorbire i radionuclidi, tanto che il loro uso per ripulire ambienti contaminati (attraverso una tecnica nota come fitorimediazione) è oggetto di numerosi studi.
Negli anni, anche gli animali sono tornati ad occupare la zona di alienazione: uccelli, lupi, volpi, donnole, persino l’orso bruno. Tutto questo la rende oggi uno dei territori a maggiore biodiversità dell’intera ex Unione Sovietica.
Ti è piaciuto l’articolo? Condividilo sui social!